Il 15 giugno Virgin ha chiuso anche l’ultimo dei megastore di NY, segnando simbolicamente la fine della “golden age” della musicale su supporto fisico.
Un evento inevitabile e assolutamente prevedibile.
Da tempo ormai la musica è fruita in formato digitale e online viene scambiata, ascoltata e acquistata. Nonostante le difficoltà legate alla pirateria, l’acquisto in rete rappresenta oggi un business in grado di generare un discreto guadagno ad artisti e case discografiche, che solo da iTunes hanno fino a oggi guadagnato 4 miliardi dollari.
Tuttavia, i modelli di fruizione della musica sono in continua evoluzione e rischiano oggi di mettere in crisi iTunes e lo stesso concetto di possesso della musica.
In un articolo su Wired, Eliot Van Buskirk riprende una ricerca Forrester, in cui si analizza l’evoluzione del consumo musicale e il ruolo dei Social Media Network nel futuro dell’industria.
Le questioni affrontate sono principalmente due:
- lo streaming è in grado di rimpiazzare del tutto l’effettivo acquisto?
- è possibile monetizzare la “social music”?
Le internet radio e i servizi di streaming online, come Last.fm, Pandora, Youtube, Myspace rendono possibile l’ascolto di pressochè ogni genere e artista gratuitamente o quasi (es. dal 30 marzo Last.fm richiede un pagamento di 3 euro mensili) .
Lo sviluppo di sistemi di “streaming on the go” come quelli forniti attraverso i mobile data packages e iPod Touch potrebbe rendere il possesso del brano musicale meno rilevante ma certo non sostituirlo del tutto.
Mulligan, autore della ricerca, ritiene che i fan musicali attivi sui Social Network siano esperti, “engaged”, e persino più propensi a comprare musica degli alti consumatori. Per questo la maggior parte delle radio online integra un servizio d’acquisto, tramite iTunes o Amazon.
Secondo la ricerca Forrester le possibilità di monetizzazione della Social Music muovono però in un’altra direzione e sono destinate a migliorare significativamente. In che modo?
Attraverso la pubblicità.
Sui social media gli utenti si autosegmentano indicando i propri gusti, anche musicali, e rendendo così molto più semplice la targetizzazione del messaggio da parte dei pubblicitari.
Sembra quindi che la musica abbia trovato la via da percorrere per sopravvivere nell’era digitale.
Resta il fatto che abbonamenti e pubblicità non saranno comunque sufficienti a coprire i costi che la grandi case discografiche impongono ( nemmeno Google può) e con ogni probabilità saranno incapaci di riportare l’industria agli anni ’90 quando tutti compravano i CD per rimpiazzare i dischi e le cassette.