Articolo scritto da Eva Pedani, Studentessa laureata in Corporate Communication and Public Relation presso l’Università IULM, con lo strumento di social & Web Listening di Blogmeter “Live Insights” per il progetto 2YOUNG
In Cina gli influencer avranno bisogno di una licenza.
La diffusione dei contenuti contenuti in campo medico, finanziario o legale sarà regolamentata dall’obbligo per i digital creator di trasmettere e dimostrare le proprie qualifiche professionali alle piattaforme e al pubblico. Questa è solo l’ultima di una serie di restrizioni del governo cinese all’industria del live streaming.
Il governo ha richiesto agli influencer cinesi di esibire il proprio diploma o il proprio certificato all’inizio della trasmissione dei contenuti per poter continuare a lavorare nel business online. Chiunque pubblichi su Internet, anche in diretta streaming, contenuti su argomenti specialistici come diritto, medicina o finanza, dovrà presentare una laurea o un titolo che dovrà essere pre-verificato dalla piattaforma.
La mossa fa parte di uno sforzo più ampio da parte delle autorità locali nell’ottica di monitorare più da vicino le attività di live streaming ed e-commerce, che sono esplose in popolarità negli ultimi anni.
A dicembre 2021, infatti, gli utenti di contenuti live ammontano a oltre settecento milioni in tutto il paese, ovvero quasi il 70% della popolazione Internet attiva. La comunicazione sui social network attraverso post, video, stories o reels non si limita all’intervento di sole da celebrità, brand o influencer, ma si estende anche a professionisti medici o legali presenti sulle piattaforme con lo scopo della divulgazione.
Le piattaforme più popolari in Cina sono Douyin, la versione cinese di TikTok, di proprietà di ByteDance, e Kuaishou.
Questa decisione si aggiunge ad una serie di limitazioni già applicate nel Paese.
Ad esempio nell’estate 2021, il governo ha vietato vietare ai minori di sedici anni di giocare ai videogiochi per più di tre ore a settimana. Successivamente, nel mese di maggio, la regolamentazione è stata ampliata, vietando alla stessa fascia d’età la possibilità di guardare contenuti live dopo le ore 22 e di acquistare da influencer.
O ancora, alle piattaforme è invece stato vietato di ospitare contenuti non in linea con i valori socialisti del paese.
Un nuovo codice di condotta per gli influencer online è stato emesso e pubblicato dall’Amministrazione nazionale radiotelevisiva, l’agenzia responsabile della distribuzione dei contenuti in licenza, e dal Ministero della Cultura e del Turismo.
La nuova decisione potrebbe essere un passo avanti nella lotta alla disinformazione, soprattutto su questioni delicate come la salute o le scelte finanziarie.
Contemporaneamente resta da chiedersi se tali regolamentazioni, nel contesto della nota e severa censura statale cinese di Internet, risulteranno nell’esclusione di vari creatori di contenuti, in particolare nella categoria degli indipendenti, e nella limitazione della libertà di espressione e pluralità di idee.
Quali reazioni susciterebbe, invece, nella popolazione se questo tipo di legislazione fosse applicata in Italia? Gioverebbe ai molti che si lamentano delle fake news?
Un’indagine di Blogmeter attraverso lo strumento di social listening “Live Insights” sulle reazioni degli italiani in merito alle fake news, mostra una forte polarizzazione: il sentiment generale preponderante risulta essere negativo per il 68,82% dei post e delle interazioni degli utenti sui principali social.
Il dibattito online si svolge principalmente su Facebook e Twitter (41,96% e 45,78%).
Gli utenti più attivi nella conversazione sono tendenzialmente di sesso maschile: 72,45%!
E’ curioso notare come il primo social network di Meta, criticato per lungo tempo per la presenza di fake news e per il controverso coinvolgimento nel caso scandalo di Cambridge Analytica, sia esso stesso il centro del dibattito riguardo le fake news.
La conversazione sulle ‘bufale’ spazia tra le tematiche più varie: dal calciomercato alla guerra in Ucraina, la politica economica del Bel Paese, la gestione del Covid-19, le politiche del social media Tik Tok fino al discutere della presenza di profili fake nel mondo online.
Uno dei dibattiti che più appare acceso e, rimandando alla legislazione cinese vigente in merito ai contenuti online, riguarda la questione Twitter – Michele Boldrin.
Nei primi giorni di luglio 2022, infatti, il profilo Twitter di Boldrin, economista e docente della Washington University in St. Louis di Padova, è stato sospeso perchè ha parlato delle bugie di “Alex Bazzaro”, un deputato leghista, che si è espresso sulla questione curda e su a chi dare le armi.
Nonostante la segnalazione di Twitter dichiari di aver sospeso il profilo per “targeted harassment”, il professore di economia afferma di non aver violato le politiche del social network – non avendo “spammato”, impersonificato altri utenti, o molestato terzi.
«Viene offerta l’opzione di controbattere e appellarsi, cosa che ho fatto tramite Twitter», spiega Boldrin.
Molti degli utenti online si sono schierati a favore di Boldrin con l’hashtag #SbloccareBoldrin, ritenendo che avrebbe avuto un atteggiamento critico nei confronti delle bugie e manipolazioni provenienti dalla politica e dall’informazione.
Molti profili hanno poi condiviso all’interno dei propri post una catena contenente la frase “Su questa piattaforma spesso vengono permesse offese, diffusione fake news, propaganda russa, ecc. e ve la prendete con lui?” e ritenendo la scelta di ‘sbloccare’ il profilo
dell’economista un “obbligo morale”.
Quali potrebbero essere le conseguenze in Italia di una legge che si propone di limitare
determinati contenuti?
A differenza delle piattaforme cinesi, che si trovano sul suolo statale e perciò sottoposte a un maggior scrutinio delle autorità, i big dei social network che risiedono oltreoceano, sotto la giurisdizione statunitense, basano i propri ‘controlli’ e le tutele nei confronti degli utenti sulle proprie policy, integrandole per i cittadini europei, con la regolamentazione offerta dal GDPR dell’Unione Europea.
Spesso, però, i motivi dell’ “oscuramento” e dell’eliminazione di profili e contenuti rimangono poco chiari perché protetti da forti policy di privacy delle suddette aziende.
Intanto, la reazione dei cittadini italiani in merito risulta ampiamente schierata contemporaneamente nella difesa della libertà di espressione e del divieto di censura e limitazione dei contenuti.