La ragione primaria per cui le aziende italiane si avvicinano allo studio dei social media (o meglio alla lettura/visione degli User Generated Content) è quella di sapere che cosa di dice nella “blogosfera”dei propri marchi, prodotti o persone.
Come ha detto chiaramente David Weinberger durante il suo intervento allo IAB Forum 07, l’attenzione delle aziende nei confronti di questi fenomeni è scaturita inizialmente dal semplice fatto che gli UGC sono sempre meglio indicizzati dai motori di ricerca, Google in prima battuta, e quindi sempre più “potenzialmente rischiosi” per la reputazione online delle aziende.
Per farla breve, oramai quando si digita il nome di un’azienda o di un prodotto su Google, buona parte dei risultati visualizzati nelle prime pagine della ricerca sono User Generated Content sui quali l’azienda non ha nessun potere di controllo….ed è chiaro che qualora questi risultati rimandassero a post/messaggi negativi o comunque critici nei confronti dell’azienda questo rappresenterebbe un problema per quest’ultima.
In quest’ottica ho trovato interessante la presentazione fatta da Intarget durante lo IAB che trattava appunto di tecniche di analisi della brand reputation nell’ambito delle strategie di search marketing.
Durante l’intervento, sono stati definiti i 3 fattori per valutare il grado di rischio o di opportunità delle citazioni online:
– Che visibilità ha la citazione (quanto bene è indicizzata sui motori)
– Che “popolarità/autorevolezza” ha la fonte che la “ospita” (in termini di contatti/lettori)
– Che tipo di “risposta” ha avuto il messaggio che conteneva la citazione (in termini di commenti, nel caso di un blog, o di messaggi di risposta nel caso degli altri social media es. forum, newsgorup o social networks)
Trovo che l’approccio sia condivisibile per misurare il potenziale passaparola che potrà scaturire da una citazione online. Peccato però che durante la presentazione non sia stato spiegato “cosa fare” per porre rimedio o approfittare di una situazione ad “alto potenziale” di rischio o opportunità (di WOM online) e che efficacia (costi vs risultati) possa avere un’attività di “bonifica” della reputazione online di un’azienda.
A mio avviso, nel futuro sarebbe auspicabile che le aziende seguissero un approccio diverso da quello meramente passivo. Invece di scoprire, ex post, se si parla male di me, per poi provare a metterci una pezza, sarebbe meglio seguire un approccio attivo, che presuppone un’analisi sistematica e continuativa dei social media che non si limiti alle sole citazioni (riguardanti l’azienda) ma che includa anche un analisi periodica delle conversazioni e delle reti sociali di influenza che si occupano più attivamente dei temi legati al settore di appartenenza dell’azienda allo scopo di definire le politiche di marketing e comunicazione più appropriate per “dialogare” con il popolo della rete (ma anche con quello offline).
Perchè prevenire è sempre meglio che curare.