Valeria Maltoni e Marshall Sponder, in una serie di post, hanno riflettuto sulla misurazione dell’engagement e dell’attenzione sui social media.
Marsharll Sponder, partendo da una similitudine tra la navigazione online e il suo camminare per strada, afferma che l’attenzione deve essere misurata (in quanto distribuita diversamente) in base allo scopo della persona in un certo momento e perciò valutata tenendo in considerazione periodi di tempo più ampi: infatti se lo scopo di una persona, in certo momento, è quello di camminare velocemente per raggiungere l’ufficio, anche lo sguardo di un brevissimo istante (il vedere l’insegna di un negozio interessante) potrà essere considerato “engagement”, anche se non produrrà un effetto immediato (la persona non vi ci ferma nel momento in cui lo vede) potrà avere conseguenze in futuro (ci ritornerà quando avrà più tempo).
Sul web le ricerche con keyword generiche possono essere considerate come quando si cammina per strada velocemente, lo scopo è quello di trovare qualcosa di interessante e non un sito specifico. Quindi per misurare l’engagement nel comportamento di ricerca dovrà essere quello di tracciare le persone che fanno una ricerca generica ma che poi continuano la ricerca con keyword più specifiche: per esempio se qualcuno cerca prima “berlina” (sta camminando velocemente sul web) e poi continua con ricerche più specifiche come “new 3 Series Sedan”, per poi cercare “review per la nuova serie della Sedan” potrà essere ben definito “engaged”.
A questo punto si pone il problema del tempo: se le due ricerche avvengono nella stessa sessione utente, è facile rilevare l’engagement, mentre bisognerà analizzare più sessioni se le ricerche avvengono a distanza di tempo. Infatti Valeria Maltoni nel suo post ricorda che l‘attenzione selettiva ci porta a soffermarci sulle cose che ci interessano e a sorvolare le altre: quando poi si pensa a più cose contemporaneamente bisogna distribuire l’attenzione. Allo stesso modo quando si fanno ricerche sul web, mentre si cerca qualcosa esplicitamente, si può trovare qualcosa di utile per un’attività ci interessa in background in quel momento, ma potrà essere utile successivamente.
Attualmente basandosi solo sui risultati di SEM e SEO per la valutazione dell’attenzione, la grande opportunità offerta della misurabilità dell’attività online è ancora poco sfruttata. Migliorando la capacità di tracciare la navigazione e la misurazione dell’attenzione, i marketers riusciranno a capire meglio le esigenze dei clienti e quando sono più vicini all’acquisto.
Per quanto riguarda gli strumenti per realizzare queste nuove misurazioni, i due autori concordano che, con gli opportuni miglioramenti Google possa riuscirci facilmente. Incrociando i dati di tutti i servizi a sua disposizione (Analytics, DoubleClick, Gmail, maps, ecc) potrebbe tracciare i movimenti online: attraverso DoubleClick può individuare chi fa delle ricerche generiche, il suo comportamento di navigazione una volta giunto sulla landing page e poi se realizza altre ricerche più specifiche, in modo da poterlo definirlo “engaged”.
Mentre per quanto riguarda la rappresentazione dell’attenzione, Sponder indica Compete.com come l’unica piattaforma che la rappresenta “fisicamente” per ciascun sito. Essa infatti definisce l’attenzione come: ” tutto il tempo che collettivamente viene speso online e poi determina quale percentuale di tempo viene spesa su ciascun sito”. Sponder vorrebbe affinare questa definizione e la conseguente misurazione dell’attenzione verso uno specifico tema in base alle keyword usate.