Secondo lo studio “Blogging for the hearts of donors” dell’Università del Massachusetts condotto da Nora Barnes ed Eric Mattson, gli enti di beneficenza (charities) usano i social media di più e più creativamente delle grandi aziende. Lo studio si focalizza esclusivamente sulle grandi organizzazioni, infatti per la ricerca sono state contattate telefonicamente le 200 charities presenti nella lista di Forbes Magazine, delle quali 76 hanno accettato di partecipare.

Dalla ricerca è emerso che il 75% degli istituti di beneficenza contattati usa una tipologia di social media (blog, podcast, message board, social networking, video blogging o wiki) . In particolare i social media con cui le charities sono più familiari sono i blog e i podcast, rispettivamente con il 62% e il 54% degli intervistati che si definiscono molto familiari con questi due strumenti. La familiarità con i podcast è molto più alta per le charities che per le aziende Fortune 500.

Gli strumenti meno familiari sono risultati essere i video online, anche se sono i più utilizzati dal 41% degli intervistati. Più di un terzo di queste organizzazioni usa i blog: li usano più di quanto non facciano le aziende e quasi allo stesso livello dei dipartimenti universitari.

Lo studio ha mostrato che le prime charities americane usano il web per aumentare l’awareness verso la loro mission e per mettersi in contatto con i loro sostenitori, infatti, sebbene il 46% di queste organizzazioni definisca i social media come molto importanti per la strategia di fundraising, il successo dei loro blog viene valutato in base alle visualizzazioni ed ai commenti generati piuttosto che in base alle donazioni ottenute.

Gli enti di beneficenza, infine, monitorano il buzz online riguardo la loro organizzazione più spesso di quanto non facciano le aziende, ma lo fanno manualmente attraverso Google o Technorati e usano i sistemi di alerts automatizzati, in modo da rispondere velocemente ad eventuali domande o commenti negativi.

Ed in Italia, che succede? Dopo aver parlato con Paolo Ferrara di “Terre des Hommes” ed aver letto il suo blog mi sembra di poter dire che almeno su questo fronte le ONG Italiane non abbiamo proprio nulla da invidiare a quelle USA…non sono sicuro lo stesso si possa dire delle nostre aziende 🙁