Alex Iskold su ReadWriteWeb pubblica un interessante analisi delle nuove applicazioni di ricerca basate su “tecnologie semantiche”.

Gli elementi di interesse dell’articolo sono due: una chart che definisce il problema della ricerca “semantica”, e la conclusione, su cui torneremo dopo. Nella chart, che riportiamo qui:

Iskold definisce una gerarchia di problemi di ricerca, basata sulla loro complessità computazionale e sulla loro risolvibilità. La gerarchia è apprezzabile soprattutto perche’ afferma una cosa che ultimamente sembra essere un po’ sfuggita: i miracoli non si possono fare. I problemi non risolvibili da un computer restano non risolvibili da un computer, e alcuni problemi che rientrano nell’ambito dei problemi che le tecnologie semantiche sono chiamate a risolvere, rientrano appunto nel novero dei problemi non risolvibili, o risolvibili a tale prezzo che la loro soluzione è di fatto impossibile.

Ma il vero interesse del post è la conclusione: i nuovi player nell’arena della ricerca (poweset, hakia ecc.) commettono l’errore di sfidare google cercando di trovare risultati migliori. La verità è che spesso i risultati ottenuti con tecnologie sofisticate non sono enormemente migliori di quelli ottenuti con tecnologie meno sofisticate. La bottom line dovrebbe essere spostato la’ dove le tecnologie semantiche garantisco un effettivo valore aggiunto, ovvero nella presentazione dei risultati. La forza della semantica (usando il temine sia in quanto riferito all’analisi del linguaggio sia in quanto riferito al semantic web, ambiguità di cui abbiamo già discusso) è nella capacità di mettere in relazione contenuti e unità informative diverse, costruendo reti e percorsi concettuali di somiglianze, che sono impossibili con la ricerca basata esclusivamente su keywords.

Per i motori di ricerca semantici il rischio è apparire molto simili a google, ma con una tecnologia molto più costosa e onerosa. Infatti, se si gioca al gioco del motore di ricerca, con una text area e una pagina di risultati piatta, google vince sempre (anche soltanto per la sua invidiabile posizione di quasi monopolista). Se invece si fa un passo laterale e si sfida Google sulla user experience, allora c’e’ qualche speranza di fare meglio. Il passo laterale consiste nel tornare a definire il caso d’uso, che non è tanto trovare (ovvero cercare con successo), ma esplorare, mettere in relazione, approfondire i risultati.

Per ridefinire il caso d’uso è necessario ripensare alle interfacce utente degli strumenti di ricerca come strumenti di esplorazione che aiutino e supportino l’utente in un percorso di soddisfazione del suo bisogno informativo.